Il suicidio secondo Arthur Schopenhauer
Schopenhauer vede il suicidio come un diritto individuale, ma non come una vera liberazione: solo l’ascetismo annulla la sofferenza alla radice.

Arthur Schopenhauer, uno dei più influenti filosofi del XIX secolo, ha affrontato il tema del suicidio con una prospettiva radicale e profondamente legata alla sua concezione pessimistica della vita.
Per lui, il mondo è dominato da una volontà cieca e irrazionale che costringe l’individuo a un’esistenza di sofferenza incessante. In questo contesto, il suicidio rappresenta una questione complessa che Schopenhauer esamina senza pregiudizi morali o religiosi.
Il suicidio e la volontà di vivere
Secondo Schopenhauer, il suicidio non è un atto di vera liberazione, poiché non annienta la volontà stessa, ma solo la sua manifestazione individuale.
Per il filosofo, il suicidio è una negazione della vita personale, ma non della volontà universale, che continua a esistere al di là dell’individuo.
Egli distingue chiaramente il suicidio dalla rinuncia ascetica: mentre il primo è un atto disperato che non scardina realmente il ciclo della sofferenza, la seconda è una forma di illuminazione che porta a una vera emancipazione dalla volontà di vivere.
La critica al giudizio morale
A differenza della visione religiosa dominante, che condanna il suicidio come un peccato, Schopenhauer lo considera un diritto dell’individuo, rifiutando qualsiasi condanna morale.
Egli sottolinea che l’uomo, essendo vittima di una vita colma di dolori, ha la facoltà di porvi fine senza che ciò debba essere considerato un crimine. Tuttavia, egli avverte che il suicidio non rappresenta una soluzione definitiva alla sofferenza esistenziale, ma solo un’interruzione momentanea della manifestazione individuale della volontà.
Il confronto con l’ascetismo
Per Schopenhauer, la vera liberazione dalla sofferenza non avviene attraverso il suicidio, ma mediante l’ascesi, ovvero la negazione radicale della volontà di vivere.
Mentre il suicida rifiuta la vita per sfuggire al dolore, l’asceta si distacca dalla volontà stessa, raggiungendo una condizione di pace interiore che lo libera dal ciclo infinito di desiderio e sofferenza.
In questo senso, Schopenhauer guarda con ammirazione alle filosofie orientali, in particolare al buddismo, che promuovono l’annullamento del desiderio come via per la liberazione.
Il pensiero di Schopenhauer sul suicidio è lucido e privo di ipocrisie: egli lo considera un atto umano comprensibile e legittimo, ma non una soluzione autentica al problema della sofferenza.
La vera via d’uscita, secondo il filosofo, risiede nella negazione della volontà attraverso l’ascesi, un percorso che porta alla quiete e alla liberazione dal dolore dell’esistenza.