La morte di Thomas Bricca ad Alatri, lo sfogo di un lettore: «Qual è l’esempio che si dà oggi?»

Lo sfogo di un nostro lettore dopo la morte di Thomas Bricca: il 18enne di Alatri colpito alla testa in una sparatoria.

I giovani, il motorino, una pistola, il sangue: scene finte (così le giustificano) viste mille volte in televisione; scene vere che spesso abbiamo visto nei telegiornali e che adesso vediamo dal vivo nelle nostre strade. Anche ad Alatri, meravigliosa e dignitosa cittadina piena di storia e brava gente.

Tutti che si chiedono come sia stato possibile che nella “tranquilla e ridente” provincia di Frosinone un ragazzo venisse raggiunto da un colpo di pistola alla testa, per giunta nello stesso posto dove decine di generazioni hanno giocato a calcio, si sono baciate o hanno semplicemente fatto amicizia.

Tutti che… cadono dal pero allontanandosi dal nocciolo della questione: l’oggettività, l’autocritica, queste sconosciute. Non è Alatri signori, evitiamo di prenderci in giro come al solito: una cosa del genere può succedere anche a Veroli, Frosinone, Ferentino, Sora, Cassino, Ceccano, ovunque in Italia.

E perché? Come perché? Chi educa i bambini oggi? I genitori o i telefonini con i videogiochi violenti (così stanno zitti e non rompono…)? Chi educa gli adolescenti? I genitori o i telefonini con i video di “gangbang” raggiungibili in un attimo? Deve educarli la scuola?!? Per favore… ma se appena un docente dice “A” a un ragazzo o una ragazza che esagerano, papino e mammina chiamano la Nato. Suvvia, siamo seri: sono anni oramai che la scuola non può più fare la scuola perché “mio figlio non si tocca”.

E allora, chi li educa ‘sti figli? I genitori? Oh sì certo… quando hanno finito di andare in palestra, dall’estetista, a calcetto, dal parrucchiere, a tennis, a basket, a sciare, al mare, in montagna, all’aperitivo, in bicicletta, in disco, al cinema, allo stadio, dall’amica, dall’amico, dall’amante e anche alla Santissima (cui sono devotissimi!), perché giustamente “hanno bisogno dei loro spazi” no? Separati, ognuno per conto suo e con questi ragazzini che passano la vita dai nonni e vedono il padre e la madre solo per spillargli due soldi a settimana per comprarsi il fumo, la cocaina o gli alcolici: di cosa stiamo a parla’?

DI COSA STIAMO PARLANDO???

Le domande non sono quelle che ci assolvono dai peccati, no. Sono, al contrario, quelle che ci mettono davanti al nostro fallimento. Al fallimento della famiglia. Li guardiamo i selfie dei mocciosetti 15enni che sui social si atteggiano da boss della fiction sulla malavita? Li guardiamo i selfie delle 15enni che sui social si atteggiano da baby escort? Oppure oggi siamo tutti caduti improvvisamente dal pero?

Quanto tempo si toglie alla famiglia per dedicarlo al “cazzeggio” personale? Quanto si è disposti a sacrificarsi per la famiglia? Si fa abbastanza per salvaguardare la famiglia oppure al primo problema (che tutti hanno già vissuto in passato fino alla comparsa dell’uomo sulla Terra), si torna a casa da papà e mamme e chi se ne frega dei figli?

E ancora: le famiglie cosiddette “sane e unite” educano i figli al rispetto reciproco oppure gli trasmettono la loro rabbia repressa, frustrazione, insoddisfazione personale inducendoli giocoforza a praticare la violenza psicologica, verbale e fisica sui loro coetanei? Educano i figli all’onestà o al carpe diem? Al perdono oppure alla vendetta? All’amore o all’odio? I genitori insegnano ai figli che una volta si ha ragione e un’altra torto marcio?

QUAL È L’ESEMPIO CHE SI DÀ OGGI?

Queste sono le domande che bisogna porsi. Perché la società è il risultato del nostro operato, fine. Se non si danno risposte oggettive, se non si cambia metodo passando dall’egoismo all’altruismo senza compromessi, “a rimetterci” come si suol dire; se si pensa di non dover mai fare autocritica e chiedere scusa “perché io sono fatto/a così”; se non ci si rende conto che il mondo non gira intorno alle esigenze di un singolo e che costruire una famiglia significa farsi un culo grande come una campana per almeno mezzo secolo, se si riesce a sopravvivere, vuol dire che anche questo ragazzo morto non servirà a niente e che dobbiamo solo aspettare il prossimo colpo di pistola.

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